mercoledì 28 gennaio 2009

Attacco in corso all’Università Italiana

E’ in corso un pesante attacco, che utilizza i mezzi di informazione, all’Università Italiana. E’ un attacco giustificato? Quali obiettivi si propone? Quali effetti può avere? Cosa si può fare?
L’attacco, così come è stato condotto, non è giustificato. L’Istituzione Università italiana è una tra le migliori al mondo e la prova è la cosiddetta “fuga dei cervelli”. I cervelli fuggono anzitutto perchè ci sono laureati ben preparati, dalla scuola italiana nel suo complesso e dall’Università in particolare; fuggono perchè qualcuno, da altre parti, è pronto ad accoglierli; fuggono perchè l’Italia è ormai in grave fase di imbarbarimento, cominciando dalla casta politico-sindacale (sinistra, destra e centro), per finire all’analfabetismo di ritorno molto diffuso (come denunciano le statistiche dell’ISTAT). La fuga dei cervelli non è (solo) colpa dell’Università ma dei governi (“bipartisan” nel tagliare fondi), che all’Università non hanno fornito i mezzi per assorbire i giovani che vorrebbero entrarvi per fare ricerca. È colpa delle grandi e medie aziende, che non investono in ricerca e preferiscono comprare brevetti all’estero. È colpa dei mezzi di informazione, che scelgono (o ne sono costretti) di parlare di delitti e di “reality show” piuttosto che dei drammatici problemi del Paese. La Cultura italiana resta, peraltro, concentrata nelle sue Università; i ricercatori e i docenti universitari amano il loro lavoro e lo fanno non certo per speculare, ingannare, spadroneggiare, bensì per creare e diffondere la Cultura. Tra gli universitari non impera il sistematico conflitto di interessi, come invece accade nella casta. La continua riduzione dei finanziamenti ordinari e dei fondi di ricerca sta minando alle basi la funzione istituzionale dell'Università italiana, deputata all'alta formazione e, con la ricerca, al sostegno dello sviluppo del nostro paese: un paese che sembra aver imboccato la strada di un profondo sottosviluppo culturale, che nessuno appare in grado di arrestare.
Detto questo, non intendo negare che esistano nelle Università episodi di malcostume, di nepotismo, persino a volte di corruzione. Ma si tratta di pochi casi su un totale di 50.000 circa tra ricercatori e docenti universitari: molto al di sotto della media nazionale in tutti gli altri settori e nulla al confronto della situazione della casta, la quale, sfacciatamente, si difende vietando alla magistratura autorizzazioni a investigare su possibili delitti di suoi membri (sinistra, centro, destra, tutti amici per la pelle). Se una accusa può essere rivolta all’Università è quella di non aver saputo auto-riformarsi per evitare anche quei pochi casi, per non aver isolato quei baroni che pretendono concorsi blindati per i propri parenti. Inoltre, purtroppo, gli organismi di autogoverno dell'Università hanno attuato, negli ultimi anni, una politica timida e ondivaga e il corpo docente, pauroso nell’affrontare la sfida della costituzione di un modello formativo unitario a livello europeo, non ha saputo esprimere proposte concrete né mettere in atto validi sistemi di autovalutazione. Troppo spesso gli intellettuali italiani, non solo nell’Università, hanno affiancato il potere politico per proprio interesse, non per l’interesse del Paese.
Per evitare attacchi bisogna pretendere la trasparenza in tutto e il ricorso solo a regole uguali per tutti e mai a “leggi non scritte”. Ma bisogna anche che la casta politica finisca di produrre, ad ogni cambio di lobby, riforme dell’Università, scritte, spesso frettolosamente, con il solo risultato di renderla sempre meno efficiente. Ricordiamo la scelta del ministro Luigi Berlinguer (1) di sopprimere i concorsi universitari a carattere nazionale, sostituendoli con altri a carattere locale, favorendo così concorsi facili da pilotare per chi volesse far vincere un protetto (parente o raccomandato). Ricordiamo anche la scelta del ministro Letizia Moratti di prevedere come risultato dei concorsi, oltre ai vincitori, un alto numero di idonei, riempiendo così le Università italiane di persone in attesa di essere “chiamate” da una sede, frustrate e in posizione di ricattare l’Università che li ospita (“o mi chiamate o faccio solo il minimo dovere secondo il contratto”). Così per anni furono banditi solo pochi concorsi, per assorbire gli idonei, e fu chiusa l’Università ai giovani di valore, cioè proprio quei cervelli che poi fuggirono e fuggono in massa. Ma, attenzione: i problemi dell’Università non si esauriscono con i problemi dei concorsi. I docenti universitari, che gestiscono un’Istituzione così importante per lo sviluppo del Paese, che hanno avuto grandi risorse per perseguire gli obiettivi di istruzione e di ricerca, devono rendersi conto che le classifiche mondiali sulla capacità innovativa dei Paesi dimostrano che gli obiettivi sono stati in qualche misura mancati. Chiediamoci, ora, quali obiettivi si prefigge l’attacco all’Università. La filosofa politica Hannah Arendt, nel suo saggio “Le origini del totalitarismo” (pubblicato in Italia nel 1967 e riconosciuto dagli storici come un importante testo di riferimento per lo studio dei totalitarismi in Europa nel XX secolo) individua, tra le caratteristiche del totalitarismo, la designazione di “un nemico assoluto”. L’altro ieri il nemico assoluto era l’attuale Presidente del Consiglio; ieri il nemico assoluto era il comunismo. Poiché tutti gli italiani avevano rapidamente compreso che queste erano solo barzellette, tanto per nascondere la pochezza delle argomentazioni dei governi e delle loro maggioranze, oggi “arguti” consiglieri hanno individuato (2) un nuovo nemico: l’Università. L’Università significa gli intellettuali (3), significa chi fa cultura e con adeguata cultura valuta le scelte del Governo. Non sto dicendo che il governo attuale sia una copia del totalitarismo fascista (4): sostengo che certamente l’attacco all’Università come Istituzione contribuisce al tentativo di far dimenticare realtà gravissime, come il fatto che la crisi la sta pagando la maggioranza debole del Paese e non chi l’ha provocata (speculatori; evasori fiscali; delinquenza organizzata; sfruttatori del lavoro a basso costo, che hanno spostato la produzione in paesi a basso reddito pro capite e le sedi aziendali nei paradisi fiscali; “furbetti” che stanno rialzando la testa; palazzinari; manager incapaci; raccomandati, spesso inetti; e altri ancora, pronti ad appoggiare qualunque maggioranza dia loro spazio). I tagli alla scuola, dalle elementari alle Università, si fanno per coprire il buco lasciato dalla propagandistica abolizione dell’ICI, dal costo dell’operazione Alitalia, dal ridotto impegno contro l’evasione fiscale (5); si fanno per non chiedere una tassazione straordinaria sui redditi superiori a € 100.000 all’anno (6) (le uniche aziende che non si accorgono della crisi sono quelle del lusso), ai quali un precedente governo, con la stessa maggioranza di oggi, aveva regalato sconti rilevanti; si fanno per continuare a tassare con un ridicolo 12,5% i guadagni della speculazione. Ma il governo sa che la maggioranza dei suoi elettori è costituita da cittadini onesti, anche se un po’ sprovveduti e molto abbindolati da una propaganda fatta di promesse poi non mantenute: deve inventare i nemici, cause di tutti i mali che affliggono il Paese. Ecco l’attacco pilotato all’Università, come pilotati sono stati gli attacchi agli altri immaginari nemici (2).
Drammatici possono essere gli effetti di questo attacco. Germania e Francia rispondono alla crisi investendo nella ricerca, senza peraltro rinunciare a riformare le loro istituzioni di ricerca, universitarie e non. Ridurre il già molto basso finanziamento alla ricerca in Italia significa avviare il Paese verso l’essere uno dei primi tra quelli sottosviluppati, fatto che forse piace alla casta, considerata dai paesi più evoluti come una delle più inefficienti e corrotte (si vedano i tanti articoli sull’argomento pubblicati da prestigiosi quotidiani stranieri e la recente indagine di Transparency International, che colloca l’Italia al sesto posto, per corruzione, tra i 25 Paesi della UE). Solo così la casta avrà la possibilità di emergere tra i nuovi pari. Ma i Paesi in via di sviluppo sono in crescita e presto ci supereranno; poco male: la casta ci porterà più in basso, per confrontarci con Paesi ove si muore di fame.
La chiave del futuro è nella ricerca, che produce conoscenza e innovazione: non nel rilancio dei consumi (cioè viva il consumismo, anche se non si hanno soldi!), visto che dai consumi scriteriati, e dalla speculazione che li ha sostenuti, è nata e si è propagata la crisi. È Cultura nel Paese, sola strada per arrivare a comprendere la necessità vitale di rivoluzionare i valori della qualità della vita: dal consumismo al rispetto profondo per l’ambiente; dallo spreco all’attenzione per l’essenziale; dal disinteresse per la cosa pubblica alla partecipazione attiva. La crisi è mondiale e va governata a livello mondiale; esattamente l’opposto di quanto sta facendo il governo che, per difendere interessi di pochi (amici), arriva a schierarsi contro l’Unione Europea su problemi di tutela dell’ambiente, peraltro vitali, perché dalla loro soluzione dipende letteralmente la vita dei nostri figli e nipoti.
Si fanno tagli alla ricerca e all’istruzione e si distribuiscono sostegni alle banche e alle imprese, senza chiedere nulla in cambio. Perché non si pretende dalle banche e dalle finanziarie trasparenza, sostegno alle aziende che producono sul territorio nazionale e generano innovazione ecologica? Ma soprattutto si sostiene che per la ripresa dell’economia si devono rilanciare i consumi, anche quelli che rappresentano solo mode e sprechi. La crisi ha dimensioni tali da giustificare strategie di ben più ampio respiro, proiettate sul lungo periodo, mirate a un nuovo modello di vita, basate in primo luogo su un lungimirante piano energetico europeo. Oggi si può ambire alla copertura dei fabbisogni mondiali di energia tramite fonti rinnovabili non inquinanti: lo dimostra la conversione in atto nelle aziende della leggendaria Silicon Valley. I signori dell’innovazione nella società dell’informazione, tra i quali hanno fatto fortuna Bill Gates e altri, oggi investono sul solare; i loro piani guardano a quello che sarà il mondo tra 40 anni e si avviano, coerentemente, con investimenti nella ricerca. Sono le aziende a farlo, cioè chi giustamente mira anche a creare profitto. Prodotti innovativi ecocompatibili rappresentano, oggi, una grande opportunità di crescita, soprattutto per le aziende.


Editoriale di Sergio Sartori - TuttoMisure - Gennaio 2009

NOTE

(1) L. Berlinguer è il ministro al quale si deve la separazione tra Università e CNR, con la condanna del CNR a rapido regresso strutturale e culturale, e il passaggio del coordinamento nazionale della ricerca alla sovente inetta burocrazia ministeriale. Da allora è il ministro a presentare al Parlamento la relazione annuale sullo stato della ricerca, mentre prima questo compito spettava al Presidente del CNR, sentiti i Comitati Nazionali di coordinamento della ricerca, da allora soppressi. Erano l’unico organismo liberamente eletto da tutti i ricercatori italiani, dei settori pubblici e privati.
(2) Tante sono state le “invenzioni” intermedie di nemici: gli extracomunitari, gli scippatori da strada, le prostitute da marciapiede, i fannulloni di stato, gli insegnanti medi e, prima fra tutti i nemici, la magistratura...
(3) Intellettuali sono anche gli studenti che hanno recentemente dimostrato, pur con alcune ingenuità, di sapere affrontare i problemi con una visione temporale di anni.
(4 ) È pur vero che il controllo dei mezzi di comunicazione di massa (TV e giornali) e il via libera a squadracce di picchiatori, che si dichiarano fascisti, sono altri gravi sintomi di deriva totalitaria.
(5) Le stime degli economisti valutano le tre voci citate da 12 a 15 miliardi di euro, cioè poco meno di un punto del PIL di un anno…
(6) Ricordiamo i recenti dati forniti dall’ISTAT: il 10% delle famiglie italiane possiede (proprietà mobiliari e immobiliari, risparmi, stipendi, ecc.) il 50% della ricchezza del Paese. Essendo tale ricchezza totale pari circa a 8512 miliardi di euro ed essendo gli italiani circa 60 milioni, ciò significa che i 6 milioni di “ricchi” possiedono in media ciascuno € 710000 circa, mentre i restanti 54 milioni possiedono in media ciascuno € 79000 circa.