E’ passata solo una quindicina di giorni da quando ci siamo raccolti in una pur breve meditazione sulla tragedia della Shoah, dello sterminio di milioni e milioni di ebrei colpevoli solo di essere tali, cioè appartenenti ad un popolo che l’aberrante ideologia razzista professata dal nazismo con-
dannava ad essere annientato, sterminato, appunto.
Ma il Novecento, quel “secolo breve” - come è stato definito - in cui più vorticoso è stato il progresso delle scienze e della tecnologia, che hanno portato un progresso immenso nel miglioramento delle condizioni di vita di una parte degli uomini che vivono sulla faccia della Terra, ci ha lasciato una pesante eredità di genocidi e di massacri. Cominciando con quello del
popolo armeno, e poi in Cambogia, in Rwanda. Ci ha lasciato in eredità anche la tragedia dei Gulag, in Siberia, frutto di un’altra aberrante ideologia, quella del totalitarismo leninista e stalinista.
Sono eredità che non dobbiamo rimuovere dimenticandocene. Facendo come se fossero vicende mai esistite, o che hanno riguardato altri, in tempi remoti, che non ci riguardano più. Il negazionismo è un crimine morale contro l’umanità, è la premessa per lasciare spazio al ritorno del “sonno della ragione”.
Altri lutti ha portato alla nostra gente il dramma della popolazione italiana in Istria e Dalmazia, territori profondamente legati alla nostra storia ed alla nostra cultura, che sono stati coinvolti nella guerra di Liberazione dal nazifascismo e che hanno pagato un prezzo altissimo. Non
dobbiamo dimenticare quei lutti, dobbiamo rendere onore alle vittime di episodi tristissimi di ferocia e di guerra civile, che hanno insanguinato quelle terre a noi così care, lasciando spazio alle vendette personali o familiari, che nulla hanno a che vedere con gli ideali per cui hanno
combattuto e sono morti, in tanti, nei due anni in cui si è consumata la tragedia della lotta partigiana.
Tutte le guerre sono una tragedia, anche quelle combattute per difendere gli ideali più nobili e sacri, come quello della libertà e dell’indipendenza della Patria. Tutti i morti sono eguali. E meritano uguale rispetto. La storia va letta per quello che è, i fatti vanno ricostruiti per quello che sono stati. Non sono più accettabili omissioni o silenzi su errori o su responsabilità di singoli o di gruppi. Ma il giustificazionismo ed il revisionismo di parte sono altrettanto inaccettabili, eticamente prima ancora che storicamente. Le ideologie non si possono mettere tutte sullo stesso piano. Rispettiamo le coscienze, quando hanno agito in buona fede, ma ribadiamo sempre la nostra fede negli ideali di libertà e di giustizia, di democrazia e di uguaglianza che hanno animato coloro che, combattendo contro il nazifascismo, e dando spesso la loro vita per questi ideali, ci hanno consegnato una Patria libera ed indipendente, che ha potuto trovare nei valori della Costituzione repubblicana un saldo presidio ed un ancoraggio sicuro per la costruzione di un’Italia migliore.
dannava ad essere annientato, sterminato, appunto.
Ma il Novecento, quel “secolo breve” - come è stato definito - in cui più vorticoso è stato il progresso delle scienze e della tecnologia, che hanno portato un progresso immenso nel miglioramento delle condizioni di vita di una parte degli uomini che vivono sulla faccia della Terra, ci ha lasciato una pesante eredità di genocidi e di massacri. Cominciando con quello del
popolo armeno, e poi in Cambogia, in Rwanda. Ci ha lasciato in eredità anche la tragedia dei Gulag, in Siberia, frutto di un’altra aberrante ideologia, quella del totalitarismo leninista e stalinista.
Sono eredità che non dobbiamo rimuovere dimenticandocene. Facendo come se fossero vicende mai esistite, o che hanno riguardato altri, in tempi remoti, che non ci riguardano più. Il negazionismo è un crimine morale contro l’umanità, è la premessa per lasciare spazio al ritorno del “sonno della ragione”.
Altri lutti ha portato alla nostra gente il dramma della popolazione italiana in Istria e Dalmazia, territori profondamente legati alla nostra storia ed alla nostra cultura, che sono stati coinvolti nella guerra di Liberazione dal nazifascismo e che hanno pagato un prezzo altissimo. Non
dobbiamo dimenticare quei lutti, dobbiamo rendere onore alle vittime di episodi tristissimi di ferocia e di guerra civile, che hanno insanguinato quelle terre a noi così care, lasciando spazio alle vendette personali o familiari, che nulla hanno a che vedere con gli ideali per cui hanno
combattuto e sono morti, in tanti, nei due anni in cui si è consumata la tragedia della lotta partigiana.
Tutte le guerre sono una tragedia, anche quelle combattute per difendere gli ideali più nobili e sacri, come quello della libertà e dell’indipendenza della Patria. Tutti i morti sono eguali. E meritano uguale rispetto. La storia va letta per quello che è, i fatti vanno ricostruiti per quello che sono stati. Non sono più accettabili omissioni o silenzi su errori o su responsabilità di singoli o di gruppi. Ma il giustificazionismo ed il revisionismo di parte sono altrettanto inaccettabili, eticamente prima ancora che storicamente. Le ideologie non si possono mettere tutte sullo stesso piano. Rispettiamo le coscienze, quando hanno agito in buona fede, ma ribadiamo sempre la nostra fede negli ideali di libertà e di giustizia, di democrazia e di uguaglianza che hanno animato coloro che, combattendo contro il nazifascismo, e dando spesso la loro vita per questi ideali, ci hanno consegnato una Patria libera ed indipendente, che ha potuto trovare nei valori della Costituzione repubblicana un saldo presidio ed un ancoraggio sicuro per la costruzione di un’Italia migliore.
Vincenzo Milanesi
Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Padova