L’Università statale di Brescia si ribella al «linciaggio mediatico». Replica punto per punto a chi spara nel mucchio e parla di atenei «utili solo a professori che se ne infischiano della ricerca», di atenei che «moltiplicano inutili corsi di studio frequentati da pochi studenti» e sfornano «lauree per disoccupati». Denuncia, per contro, l’impossibilità di mantenere gli standard di qualità conservati fino ad oggi (anche facendo ricorso a fondi propri) con i tagli annunciati dalla legge 133 Finanziaria varata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. E il rettore Augusto Preti si dice «pronto a rassegnare le dimissioni» se le cose non cambieranno.
L’UNIVERSITÀ bresciana è scelta da oltre tremila matricole all’anno. Dispone di corsi di laurea appetibili perchè rispondono alle esigenze del sistema economico e produttivo del territorio. Si è sempre rifiutata di attivare altre facoltà senza la possibilità di garantire ricerca, docenti e sedi adeguate. I tre quarti dei suoi studenti triennali prendono la laurea in tempi regolari e il resto con un anno di ritardo. Dei 180 laureati nella specialistica solo 10 hanno ritardato di sei mesi, e solo 22 sui 144 delle lauree magistrali a ciclo unico.
Quasi il 90 per cento dei suoi laureati specialisti lavora, gli altri continuano gli studi e solo una parte infinitesimale non trova occupazione entro un anno. I docenti di prima fascia sono 164 come quelli di seconda, pari ciascuno al 28 per cento del totale, mentre i 259 ricercatori raggiungono il 44 per cento a fronte del 38 nazionale. Nella valutazione Civr del triennio 2001-03 ha ottenuto punti sopra la media anche nei settori disciplinari in cui è meno forte. E intanto dal 2010 si vedrà tagliare i fondi statali da 69,5 a 62,7 milioni di euro.
IL SENATO accademico mercoledì scorso ha approvato una mozione in cui prende atto del crescente disagio provocato dai provvedimenti del Governo, e sottolinea che «l’università di Brescia non può in alcun modo essere omologata ai casi di mala università, presenti, circoscritti e non generalizzabili». Perciò chiede «che il Governo proceda «con la massima sollecitudine alla costituzione e attivazione dell’Agenzia di valutazione della ricerca e della didattica, premessa indispensabile per fare chiarezza e avviare gli interventi correttivi necessari».
Ieri mattina il rettore Preti, il prorettore Giancarlo Provasi e i presidi di Ingegneria Pier Luigi Magnani, di Medicina Lorenzo Alessio, di Economia Claudio Teodori e di Giurisprudenza Antonello Calore hanno presentato puntigliosamente i conti della Statale bresciana per ribadire che «non si può fare di ogni erba un fascio e gli atenei virtuosi devono avere la possibilità di sopravvivere».
Perché il punto è proprio quello. Con i tagli previsti rischiano di scomparire i piccoli che fanno bene. «Tutti noi siamo disposti a riconoscere che ci sono molte cose da fare per migliorare il sistema - dice Preti -, ma non siamo disposti ad essere valutati per slogan». E di fronte al proliferare di atenei anche telematici che sfornano corsi senza sbocchi occupazionali, contro cui oggi si punta l’indice, il rettore si chiede chi li abbia voluti «se non il Parlamento». Dal Piano per l’università annunciato dal ministro Gelmini Preti si aspetta che «per i prossimi tre anni tutti tirino la cinghia e intanto si risana dove si può». A questo ci sta, a colpire nel mucchio proprio no.
Ecco perché Brescia non merita alcun taglio
I corsi di studio sono troppi, e senza studenti? Le università servono soprattutto ai professori per far carriera? Producono ricerca scarsa e scadente? Spendono male i finanziamenti ricevuti? Cifre alla mano, la Statale bresciana rimanda le accuse al mittente. Lo fanno il rettore Augusto Preti, il prorettore Giancarlo Provasi e i presidi delle quattro facoltà.
TUTTI I CORSI dell’Università di Brescia «sono stati sollecitati dalle istituzioni locali - dice Preti - e con la riforma che partirà l’anno prossimo accorperemo i due triennali di Giurisprudenza: Operatore giuridico di impresa e Consulenti del lavoro. E chi si è iscritto l’anno scorso o quest’anno avrà passaggio facile al nuovo ordinamento». L’ateneo non ha mai ceduto alla tentazione di istituire lauree tipo Scienze della comunicazione, che sfornano laureati destinati alla disoccupazione. I suoi corsi sono tarati sulle esigenze del mercato del lavoro bresciano. Una ricerca del Cilea sui laureati lombardi del 2006 dice che dopo un anno lavora il 97 per cento dei laureati triennali nelle professioni sanitarie, il 48 per cento degli economico-statistici (il 42 continua con la specialistica), il 29 di ingegneria (il 68 continua), e così via (vedi tabella). Caso mai «il problema è che troppi continuano gli studi - dice Preti -: ciò significa che le triennali non hanno centrato l’obiettivo, ma hanno contribuito ad aumentare i corsi di laurea».
Queste cose le sanno anche gli studenti, che in 3.070 quest’anno hanno scelto Brescia. qualcosa meno dell’anno scorso. Scienze Motorie ha dovuto offrire 30 posti in più a grande richiesta. Cala del 10 per cento Ingegneria, un po’ meno Giurisprudenza, stazionaria Economia. «Non vogliamo crescere troppo - dice Preti - le nostre strutture sono adeguate ai numeri attuali». Anzi «a Ingegneria qualche corso di laurea è penalizzato». Servirebbe qualche struttura in più, ma «i fondi che abbiamo accantonato servono per chiudere i bilanci in pareggio - osserva il rettore - e non possiamo più utilizzarli per le sedi». L’anno scorso il pareggio è costato 4 milioni, altrettanti se ne prevedono quest’anno. Ma i trasferimenti statali caleranno, mentre «gli stipendi di dipendenti e professori aumentano (di 2,5 milioni) e non per decisione dell’università, gli studenti già contribuiscono con le tasse al 20 per cento massimo consentito, e far quadrare i conti diventerà sempre più difficile».
A chi dice che non si fa ricerca, Preti replica che i professori di prima e seconda fascia fanno il 28 per cento ciascuno, contro oltre il 30 del dato nazionale, mentre i 259 ricercatori fanno il 44 per cento contro il 38 del resto d’Italia. E per zittire chi parla di corsi per pochi, Preti osserva che a Brescia ci sono 30.72 studenti per docente a Economia (33.76 in Italia), 38.09 a Giurisprudenza (35.31), 17.66 a Ingegneria (18.93) e ben 19.10 a Medicina contro una media di 12.38.
Oltre alla didattica, la ricerca di qualità: per risultati della ricerca Brescia è al sesto posto su 15 nel settore medico, al quarto su 18 per la biologia, al secondo su 18 per ingegneria industriale e dell’informazione, al primo su 13 per le scienze dell’antichità e filologico artistiche. «Bisogna smetterla di dire che i nostri studenti e ricercatori non valgono - tuona Preti -: si mortifica gente che merita». Ma il virtuosismo della Statale traspare pure dall’uso dei soldi. Mentre il 70 per cento degli atenei italiani è fuori legge perché spende oltre il 90 per cento dei finanziamenti solo per pagare gli stipendi, Brescia si ferma al 75.
L’UNIVERSITÀ bresciana è scelta da oltre tremila matricole all’anno. Dispone di corsi di laurea appetibili perchè rispondono alle esigenze del sistema economico e produttivo del territorio. Si è sempre rifiutata di attivare altre facoltà senza la possibilità di garantire ricerca, docenti e sedi adeguate. I tre quarti dei suoi studenti triennali prendono la laurea in tempi regolari e il resto con un anno di ritardo. Dei 180 laureati nella specialistica solo 10 hanno ritardato di sei mesi, e solo 22 sui 144 delle lauree magistrali a ciclo unico.
Quasi il 90 per cento dei suoi laureati specialisti lavora, gli altri continuano gli studi e solo una parte infinitesimale non trova occupazione entro un anno. I docenti di prima fascia sono 164 come quelli di seconda, pari ciascuno al 28 per cento del totale, mentre i 259 ricercatori raggiungono il 44 per cento a fronte del 38 nazionale. Nella valutazione Civr del triennio 2001-03 ha ottenuto punti sopra la media anche nei settori disciplinari in cui è meno forte. E intanto dal 2010 si vedrà tagliare i fondi statali da 69,5 a 62,7 milioni di euro.
IL SENATO accademico mercoledì scorso ha approvato una mozione in cui prende atto del crescente disagio provocato dai provvedimenti del Governo, e sottolinea che «l’università di Brescia non può in alcun modo essere omologata ai casi di mala università, presenti, circoscritti e non generalizzabili». Perciò chiede «che il Governo proceda «con la massima sollecitudine alla costituzione e attivazione dell’Agenzia di valutazione della ricerca e della didattica, premessa indispensabile per fare chiarezza e avviare gli interventi correttivi necessari».
Ieri mattina il rettore Preti, il prorettore Giancarlo Provasi e i presidi di Ingegneria Pier Luigi Magnani, di Medicina Lorenzo Alessio, di Economia Claudio Teodori e di Giurisprudenza Antonello Calore hanno presentato puntigliosamente i conti della Statale bresciana per ribadire che «non si può fare di ogni erba un fascio e gli atenei virtuosi devono avere la possibilità di sopravvivere».
Perché il punto è proprio quello. Con i tagli previsti rischiano di scomparire i piccoli che fanno bene. «Tutti noi siamo disposti a riconoscere che ci sono molte cose da fare per migliorare il sistema - dice Preti -, ma non siamo disposti ad essere valutati per slogan». E di fronte al proliferare di atenei anche telematici che sfornano corsi senza sbocchi occupazionali, contro cui oggi si punta l’indice, il rettore si chiede chi li abbia voluti «se non il Parlamento». Dal Piano per l’università annunciato dal ministro Gelmini Preti si aspetta che «per i prossimi tre anni tutti tirino la cinghia e intanto si risana dove si può». A questo ci sta, a colpire nel mucchio proprio no.
Ecco perché Brescia non merita alcun taglio
I corsi di studio sono troppi, e senza studenti? Le università servono soprattutto ai professori per far carriera? Producono ricerca scarsa e scadente? Spendono male i finanziamenti ricevuti? Cifre alla mano, la Statale bresciana rimanda le accuse al mittente. Lo fanno il rettore Augusto Preti, il prorettore Giancarlo Provasi e i presidi delle quattro facoltà.
TUTTI I CORSI dell’Università di Brescia «sono stati sollecitati dalle istituzioni locali - dice Preti - e con la riforma che partirà l’anno prossimo accorperemo i due triennali di Giurisprudenza: Operatore giuridico di impresa e Consulenti del lavoro. E chi si è iscritto l’anno scorso o quest’anno avrà passaggio facile al nuovo ordinamento». L’ateneo non ha mai ceduto alla tentazione di istituire lauree tipo Scienze della comunicazione, che sfornano laureati destinati alla disoccupazione. I suoi corsi sono tarati sulle esigenze del mercato del lavoro bresciano. Una ricerca del Cilea sui laureati lombardi del 2006 dice che dopo un anno lavora il 97 per cento dei laureati triennali nelle professioni sanitarie, il 48 per cento degli economico-statistici (il 42 continua con la specialistica), il 29 di ingegneria (il 68 continua), e così via (vedi tabella). Caso mai «il problema è che troppi continuano gli studi - dice Preti -: ciò significa che le triennali non hanno centrato l’obiettivo, ma hanno contribuito ad aumentare i corsi di laurea».
Queste cose le sanno anche gli studenti, che in 3.070 quest’anno hanno scelto Brescia. qualcosa meno dell’anno scorso. Scienze Motorie ha dovuto offrire 30 posti in più a grande richiesta. Cala del 10 per cento Ingegneria, un po’ meno Giurisprudenza, stazionaria Economia. «Non vogliamo crescere troppo - dice Preti - le nostre strutture sono adeguate ai numeri attuali». Anzi «a Ingegneria qualche corso di laurea è penalizzato». Servirebbe qualche struttura in più, ma «i fondi che abbiamo accantonato servono per chiudere i bilanci in pareggio - osserva il rettore - e non possiamo più utilizzarli per le sedi». L’anno scorso il pareggio è costato 4 milioni, altrettanti se ne prevedono quest’anno. Ma i trasferimenti statali caleranno, mentre «gli stipendi di dipendenti e professori aumentano (di 2,5 milioni) e non per decisione dell’università, gli studenti già contribuiscono con le tasse al 20 per cento massimo consentito, e far quadrare i conti diventerà sempre più difficile».
A chi dice che non si fa ricerca, Preti replica che i professori di prima e seconda fascia fanno il 28 per cento ciascuno, contro oltre il 30 del dato nazionale, mentre i 259 ricercatori fanno il 44 per cento contro il 38 del resto d’Italia. E per zittire chi parla di corsi per pochi, Preti osserva che a Brescia ci sono 30.72 studenti per docente a Economia (33.76 in Italia), 38.09 a Giurisprudenza (35.31), 17.66 a Ingegneria (18.93) e ben 19.10 a Medicina contro una media di 12.38.
Oltre alla didattica, la ricerca di qualità: per risultati della ricerca Brescia è al sesto posto su 15 nel settore medico, al quarto su 18 per la biologia, al secondo su 18 per ingegneria industriale e dell’informazione, al primo su 13 per le scienze dell’antichità e filologico artistiche. «Bisogna smetterla di dire che i nostri studenti e ricercatori non valgono - tuona Preti -: si mortifica gente che merita». Ma il virtuosismo della Statale traspare pure dall’uso dei soldi. Mentre il 70 per cento degli atenei italiani è fuori legge perché spende oltre il 90 per cento dei finanziamenti solo per pagare gli stipendi, Brescia si ferma al 75.
di Mimmo Varone
da BresciaOggi - sabato 1 novembre 2008 cronaca pag. 8