Alcune settimane fa ho iniziato a riflettere ad alta voce sul Partito Democratico, non perchè mi piace seguire le mode, ma perchè ci credo. Credo che sia una ottima opportunità di svolta per il nostro paese (Italia, San Felice), sia per chi si riconosce nel centro-sinistra, sia per chi non ci si riconosce.
Una novità che potrebbe (il condizionale è d'obbligo) riportare i cittadini "normali" alla politica.
Riporto alcune riflessioni di Michela espresse al riguardo in occasione del Congresso Provinciale dei DS alla fine di marzo.
Quali le modalità “locali” per arrivare al Partito Democratico?
Michela Tiboni
Brescia, 31 marzo 2007
Congresso Provinciale Democratici di Sinistra
Io vorrei sottoporre a questo congresso una domanda semplice: Con quali modalità “locali” pensiamo di muoverci verso il Partito Democratico?
Mi spiego meglio.
Premetto che io credo nella prospettiva del Partito Democratico, evidentemente perché vengo da un’esperienza politica ed amministrativa locale, da una realtà di poco più di 3000 abitanti in cui i Democratici di Sinistra raggiungono alle politiche a malapena il 10%, e di contro siamo riusciti alle amministrative del 2004, con una lista civica di centro sinistra, ad essere ritenuti credibili e vincere le elezioni in un comune dove il centro destra supera il 60% delle preferenze .
Ma la mia esperienza mi ha portato anche a riflettere sul perché noi Democratici di Sinistra siamo credibili quando ci proponiamo come amministratori locali e al contrario non siamo in grado di trasporre questa nostra credibilità al livello politico su scala provinciale, regionale e nazionale.
Perché non riusciamo a convincere i nostri vicini di casa, i nostri colleghi, i nostri giovani che noi siamo espressione di una politica nazionale in cui credere?
Si viene a creare una sorta di “voto disgiunto” nei cittadini della nostra provincia fra DS persone da votare per le amministrazioni comunali e DS partito da scegliere per le istituzioni provinciali, regionali e nazionali.
Senza voler assolutamente generalizzare, personalmente ho maturato la convinzione che questa incapacità sia frutto del modo in cui le sezioni del Partito operano (o meglio non operano) sul territorio.
Io ho vissuto l’esperienza di persone che si sono avvicinate a noi, che hanno dato segni di interesse ad essere coinvolte nel mondo politico e amministrativo, in primo luogo chiedendo di capire, chiedendo di spiegare loro come si arriva a prendere determinate decisioni.
E ho visto la chiusura nei confronti di queste persone. Ho percepito, da parte di alcuni dirigenti della sezione, il timore all’apertura. Forse meglio rimanere in pochi che correre il rischio che arrivi qualcuno che poi vuole capire, vuole fare, vuole mettere in discussione ciò che si è fatto “da sempre”.
Questi stessi dirigenti che si riempiono la bocca con la parola partecipazione.
Ma cos’è la partecipazione?
È chiedere ai compagni di dare una mano alla gestione della Festa dell’Unità? Con tutto il rispetto che ho per l’impegno dei compagni e delle compagne anche in questo ambito, non possiamo ridurre la partecipazione al cucinare insieme per la festa dell’unità.
Per me partecipazione avrebbe dovuto significare arrivare al congresso di sezione in cui si sono votate le mozioni con incontri preparatori, in cui si potesse discutere, ci si potesse confrontare.
Ripeto, non voglio generalizzare, ognuno del resto fa riferimento alla propria esperienza personale.
Se poi penso, sempre localmente, a chi sono i referenti che dovremmo avere nel partito della Margherita, mi verrebbe voglia di tornarmene subito a casa e chiudere definitivamente il capito del mio impegno civile.
Ma poi ripenso alle parole del Presidente Napolitano, quando dice “Non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente”.
E mi convinco proprio perché abbiamo molta strada da fare, che è proprio così. Che non dobbiamo lasciarci convincere che la politica è sporcizia o è lavoro di specialisti, ma che “la cosa pubblica siamo noi stessi”.
Per me partecipazione vuol dire far sentire tutti i compagni parte di un processo decisionale.
Vuol dire discutere delle questioni locali e saperle inserire all’interno di una visione che va oltre.
Per me partecipazione è avere il coraggio di dire “Non chiediamoci cosa il Partito Democratico potrà fare per noi, ma cosa possiamo fare noi per il Partito Democratico”.
E allora ritorno al mio quesito iniziale: ci siamo posti il problema di come a livello locale arriveremo alla costituzione del Partito Democratico? E ci siamo posti il problema di chi dovrà farsi carico di un compito cosi importante?
Mi piacerebbe tornare a casa questa sera con qualche rassicurazione in merito.
Michela Tiboni
Brescia, 31 marzo 2007
Congresso Provinciale Democratici di Sinistra
Io vorrei sottoporre a questo congresso una domanda semplice: Con quali modalità “locali” pensiamo di muoverci verso il Partito Democratico?
Mi spiego meglio.
Premetto che io credo nella prospettiva del Partito Democratico, evidentemente perché vengo da un’esperienza politica ed amministrativa locale, da una realtà di poco più di 3000 abitanti in cui i Democratici di Sinistra raggiungono alle politiche a malapena il 10%, e di contro siamo riusciti alle amministrative del 2004, con una lista civica di centro sinistra, ad essere ritenuti credibili e vincere le elezioni in un comune dove il centro destra supera il 60% delle preferenze .
Ma la mia esperienza mi ha portato anche a riflettere sul perché noi Democratici di Sinistra siamo credibili quando ci proponiamo come amministratori locali e al contrario non siamo in grado di trasporre questa nostra credibilità al livello politico su scala provinciale, regionale e nazionale.
Perché non riusciamo a convincere i nostri vicini di casa, i nostri colleghi, i nostri giovani che noi siamo espressione di una politica nazionale in cui credere?
Si viene a creare una sorta di “voto disgiunto” nei cittadini della nostra provincia fra DS persone da votare per le amministrazioni comunali e DS partito da scegliere per le istituzioni provinciali, regionali e nazionali.
Senza voler assolutamente generalizzare, personalmente ho maturato la convinzione che questa incapacità sia frutto del modo in cui le sezioni del Partito operano (o meglio non operano) sul territorio.
Io ho vissuto l’esperienza di persone che si sono avvicinate a noi, che hanno dato segni di interesse ad essere coinvolte nel mondo politico e amministrativo, in primo luogo chiedendo di capire, chiedendo di spiegare loro come si arriva a prendere determinate decisioni.
E ho visto la chiusura nei confronti di queste persone. Ho percepito, da parte di alcuni dirigenti della sezione, il timore all’apertura. Forse meglio rimanere in pochi che correre il rischio che arrivi qualcuno che poi vuole capire, vuole fare, vuole mettere in discussione ciò che si è fatto “da sempre”.
Questi stessi dirigenti che si riempiono la bocca con la parola partecipazione.
Ma cos’è la partecipazione?
È chiedere ai compagni di dare una mano alla gestione della Festa dell’Unità? Con tutto il rispetto che ho per l’impegno dei compagni e delle compagne anche in questo ambito, non possiamo ridurre la partecipazione al cucinare insieme per la festa dell’unità.
Per me partecipazione avrebbe dovuto significare arrivare al congresso di sezione in cui si sono votate le mozioni con incontri preparatori, in cui si potesse discutere, ci si potesse confrontare.
Ripeto, non voglio generalizzare, ognuno del resto fa riferimento alla propria esperienza personale.
Se poi penso, sempre localmente, a chi sono i referenti che dovremmo avere nel partito della Margherita, mi verrebbe voglia di tornarmene subito a casa e chiudere definitivamente il capito del mio impegno civile.
Ma poi ripenso alle parole del Presidente Napolitano, quando dice “Non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente”.
E mi convinco proprio perché abbiamo molta strada da fare, che è proprio così. Che non dobbiamo lasciarci convincere che la politica è sporcizia o è lavoro di specialisti, ma che “la cosa pubblica siamo noi stessi”.
Per me partecipazione vuol dire far sentire tutti i compagni parte di un processo decisionale.
Vuol dire discutere delle questioni locali e saperle inserire all’interno di una visione che va oltre.
Per me partecipazione è avere il coraggio di dire “Non chiediamoci cosa il Partito Democratico potrà fare per noi, ma cosa possiamo fare noi per il Partito Democratico”.
E allora ritorno al mio quesito iniziale: ci siamo posti il problema di come a livello locale arriveremo alla costituzione del Partito Democratico? E ci siamo posti il problema di chi dovrà farsi carico di un compito cosi importante?
Mi piacerebbe tornare a casa questa sera con qualche rassicurazione in merito.
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