"Se non fossi Ministro sarei andato al Family Day". Lo dice Rutelli.
Io sabato me ne starò con la mia famiglia. Ho un compleanno di una amica delle mie figlie. Ci vado e sarò "co-animatore" di una scatenata gang di ragazzini di 8 anni. Mi capita spesso.
Penso che la famiglia sia davvero in pericolo da parecchi anni. Da quando questo sistema fiscale, il nostro, le penalizza. Da quando non si danno veri servizi alle famiglie. Da quando si sceglie di dare un contributo alle famiglie che portano i figli al nido solo se NON sono mono-reddito, come funziona da noi (a San Felice!!!!). Non da quando si pensa ai DICO, una brutta norma di compromesso, tipico italiano. Il massimo che si riesce a mediare.
Quindi sono d'accordo con Severgnini, il filosofo con la dolcevita come lo definisce Gene Gnocchi. Sul family day si sta giocando un'altra partita, con la scusa della famiglia. Lui, questo pensiero, lo spiega meglio di me.
Si avvicina il Family Day, aumentano adesioni, dubbi e discussioni. Chi è favorevole e partirà per Roma usa quest'argomento (copio e incollo dall'email di un lettore): "E' in discussione uno dei valori-cardine della costruzione sociale, la famiglia, ed è giunto il momento di schierarsi. Solo nella famiglia tradizionale, costituita da un uomo e una donna che insieme, complementariamente, crescono e lavorano, possono crescere e formarsi uomini e donne equilibrati, pronti ad affrontare le sfide della vita". D'accordo: la famiglia resta il cemento della società italiana. Ma siamo sicuri che, per difenderla, serva organizzare un'altra manifestazione di piazza? Sembra quasi di sminuirne l'importanza. In piazza vanno tifosi in festa, contestatori delusi, minoranze oscurate, referendari in cerca di firme per cambiare la legge elettorale (hanno ragione: firmiamo!). Siamo certi che il futuro della famiglia italiana vada messo sullo stesso piano? Capisco le inquietudini della Chiesa, davanti a una società che confonde l'eternità con un lungo fine settimana, e si concentra sui piccoli piaceri, dimenticando i grandi progetti. Eppure le cose - per quanto riguarda la famiglia - vanno meglio che altrove: i matrimoni religiosi diminuiscono, ma restano la norma e la tradizione (non è una parolaccia, è una bella cosa). Le coppie di fatto in Italia sono 550.000, contro 2,5 milioni in Francia (fonti: Eurispes, Eurostat). Il 94% dei quindicenni - dato importante - cenano ancora in famiglia, contro il 66% dell'Inghilterra (fonte: Unicef, 2007). Non tutto è perduto, se non vogliamo perderlo. Perché il Family Day non mi convince? Forse è quell'improvvido nome inglese, che sa d'imitazione e di periferia, a rendermi sospettoso? Non credo: ormai siamo abituati a queste pigrizie linguistiche. Il problema è un altro, ed è più serio. Il Family Day non mi convince perché mi pare poco caritatevole. Non discuto le intenzioni dei manifestanti: ma andare in piazza sventolando la propria stabilità familiare mi sembra quasi arrogante. Una famiglia unita e felice non è solo un'esca a disposizione dei pubblicitari: è davvero il sogno di quasi tutti. E' un merito, ma è anche una fortuna. Non sempre chi non ce l'ha fatta ha colpe. Solitudine, fallimenti e separazioni sono spesso incidenti, qualche volta errori. Siamo certi che il Family Day non diventi involontariamente crudele verso chi è stato meno fortunato? Qualcuno dirà: ma le convivenze sono scelte precise! Altri aggiungeranno: chi decide di non sposarsi è un egoista, e non pensa ai figli. Qui dovremmo riaprire il discorso sui Dico, e non lo faremo. Diciamo invece questo: se la famiglia tradizionale è l'obiettivo, rendiamola attraente. Non serve demolire le alternative; bisogna lucidare il prodotto originale. Serve, una manifestazione di piazza dal nome inglese per difendere la famiglia italiana? Ripeto: ho qualche dubbio. Esistono altri modi, meno appariscenti e più efficaci. Nel Duomo di Crema, che mi guarda dalla piazza mentre scrivo, il parroco ha preso l'abitudine di battezzare durante la messa domenicale. Doveste vedere com'è attenta, la gente; come ascolta, come si commuove, come resta volentieri più a lungo. Quei bimbi che s'affacciano sull'altare, nella chiesa dove da sette secoli passa la vita della città, sono una bella, commovente e onesta promozione della famiglia tradizionale, e della fede e della tradizione che ci stanno dietro. Un atto d'amore o uno slogan su un cartello? Per quanto mi riguarda, ho già scelto.
Beppe Severginini - dal Corriere della Sera di giovedì 10 maggio 2007